La confluenza fra il digitale e il digitabile



"Un immane sconvolgimento psichico, che nessuno sarebbe in grado di circoscrivere, è stato provocato – e continua a esserlo – dalla confluenza fra il digitale e il digitabile. Il sapere assume la forma di una singola enciclopedia, in perenne, proliferante espansione e in linea di principio digitabile. Enciclopedia che giustappone informazioni impeccabilmente veritiere e informazioni infondate, ugualmente accessibili e sullo stesso piano. Ciò che è digitabile appartiene a ciò che è familiare, perciò trattabile con affettuosa noncuranza. Il sapere perde prestigio e appare come fatto di voci – nel senso di voci di un’enciclopedia e di voci vaganti, incontrollabili, boatos.
L’aspetto più affascinante – e potenzialmente fecondo – di questa enciclopedia totale è il caos algoritmico, per cui le connessioni, una volta superate le più probabili, diventano sempre più arbitrarie ed equivoche, come si suppone avvenga in una rete neurale. È un invito ad addentrarsi in una foresta che al tempo stesso è mentale e visibile su uno schermo. Ma questo non accade. Anzi, così si conferma l’aleatorietà della conoscenza in genere.

C’è poi un altro aspetto, non meno dissestante, della disponibilità informatica. Chiunque si è trovato a poter produrre, senza alcun vincolo, parole e immagini, virtualmente divulgabili ovunque, per un pubblico illimitato. Tanto è bastato per suscitare un diffuso delirio di onnipotenza, ma non più come fenomeno clinico. Al contrario, come arricchimento della normalità. La mitomania è entrata a far parte del buon senso".


"Moltiplicandosi senza tregua e in ogni direzione, le schegge informatiche si rivelano alla fine autosufficienti. E capaci di espandersi senza ricorrere ad alcunché di esterno. Non hanno bisogno di essere pensate. Sono loro, i Big Data, che pensano e amministrano coloro da cui hanno avuto origine. Se l’intelligenza è ciò che si trova negli algoritmi, allora il suo luogo privilegiato non sarà più la mente. Anzi, la mente tenderà a diventare il materiale su cui quegli algoritmi si applicano. L’informazione non tende soltanto a sostituirsi alla conoscenza, ma al pensiero in genere, sollevandolo del peso di doversi continuamente elaborare e governare".

"Accerchiando il pensiero, l’informazione tendenzialmente lo soffoca. È una inflazione di Hermes, che al tempo stesso mutila il profilo del dio, cancellando la sua funzione di psicopompo e di guida al regno di ogni invisibile. Ciò che sussiste è un Hermes beffardo e truffaldino, prodigo di doni avvelenati. Primo fra questi è la promessa di sbarazzarsi degli intermediari. Operazione che finalmente permette di sfogare l’insofferenza per la rappresentazione.

  C’è sempre stato qualcuno pronto a deprecare la rappresentazione. O per lo meno a infierire sul fatto che ogni rappresentazione è una falsificazione e non rende pienamente giustizia alla singolarità del rappresentato. Ma c’è anche chi, con sguardo sobrio e lucido, ha osservato che così siamo fatti e che ogni rappresentazione deve essere intesa come una mediazione. Questo a sua volta ha suscitato una certa diffidenza e sospetto verso ogni elemento o persona che agisca da intermediario. Perché appunto lì, secondo alcuni, si annidava l’inganno e l’eventuale tradimento.


Finché un giorno, all’alba del mondo digitale, non si profilò un termine fascinoso: disintermediazione. Ora bastava digitare certe parole, in sequenza, e chiunque aveva l’impressione di agire in prima persona, senza ricorrere ai soliti fastidiosi intermediari. Se questo valeva per un viaggio o una prenotazione di albergo, perché non doveva valere anche in politica? È una domanda che ha obnubilato non pochi – e continua a farlo, quanto più la digitalità è pervasiva e la disintermediazione offre a ogni passo una facile ebbrezza. La quale, se osservata da vicino, si rivela fondata sull’odio per la mediazione. Che è fatale per il pensiero. Non c’è bisogno di rifarsi a Hegel per sapere che non solo il pensiero ma la percezione sussistono soltanto grazie alla mediazione, quindi attraverso continui aggiustamenti e compromessi, che sono l’opera stessa della mediazione. Anche il vagheggiamento della democrazia diretta non discende ormai da una riflessione politica, ma dall’infatuazione informatica. Che, deprezzando la mediazione, finisce anche per deprezzare l’immediatezza, raggiungibile soltanto dopo aver attraversato il reticolo delle mediazioni".

"Se l’intelligenza è stata assorbita in algoritmi non coscienti che però funzionano in modo più efficace della mente – descrizione abbreviata della rivoluzione informatica –, è facile immaginare, come passo successivo, che la coscienza subisca qualcosa di simile. Ma appunto qui si incontra qualche ostacolo imprevisto. L’intelligenza può essere concepita come una successione di stati discreti, simulabili in linea di principio anche all’esterno della mente. Ma la coscienza? Qui, nonostante il profluvio di scritti che ne trattano, è inevitabile giungere a una osservazione paralizzante: nessuno sa di che cosa è fatta la coscienza. E non solo non lo sappiamo, ma ogni apparato che dovrebbe avvicinarci a saperlo, come per esempio la fMRI o la microscopia tridimensionale, non fa che accrescere il nostro senso di inadeguatezza. Eppure siamo convinti che la coscienza sia un’entità presente nella totalità degli umani, anche se avremmo qualche difficoltà a provarlo, mentre per l’intelligenza siamo in grado di offrire una quantità di verifiche. La coscienza è la barriera invisibile contro cui cozza l’informazione. È l’unico smacco che dovrà accettare quella potenza abituata a propagarsi in ogni direzione. E ovviamente pronta a continuare a farlo, a dispetto di ogni smacco".
"Homo diventa enormemente più potente se simula se stesso, imitandosi in modo incompleto e difettoso. Se invece riuscisse a produrre copie identiche, rimarrebbe qual è. Ed è questa una sua suprema stranezza. La macchina di Turing è così potente perché imita il processo mentale come se fosse una successione di stati discreti, mentre così non è. E Turing stesso lo ha precisato.


Parola-cardine in questo ambito è simulazione. Tanto più significativo appare se, fra i transumanisti, c’è chi la sostituisce con emulazione, sviluppando addirittura, come Randal Koene, un «emulation project». L’intenzione della mossa è eufemizzante, perché così si riesce a cancellare il connotato di falsità inscindibilmente connesso alla simulazione. Ma di fatto il caso si aggrava, invece di alleggerirsi, perché l’emulazione spinge alla massima evidenza il carattere competitivo dell’imitazione. E con ciò la sua implicita violenza. L’emulo è il più temibile nemico, perché la sua mira è di sostituirsi a chi gli fa da modello, non assoggettandolo ma eliminandolo".

«Nel passato, la censura ha operato bloccando il flusso di informazione. Nel ventunesimo secolo, la censura opera sommergendo la gente con informazione irrilevante». Teorema da cui discende un corollario: «Oggi avere potere significa sapere che cosa ignorare». [R. Calasso, L'innominabile attuale]

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