Avete domande da porci?




«Che modi!» borbottò Beppe guardandosi attorno nei sontuosi locali del periodico mondano. «Prima t’invitano a fare una cosa e poi protestano se la fai». 

«Ma nessuno vi ha invitato a domandarmi certe cose!» strepitò la contessa Mara con le gote imporporate di sdegno e di pudico rossore. 

«Come no?» fece Antonio. «Sono questi o non sono questi gli uffici del periodico d’arte, moda e mondanità “La vita in rosa”?». 

«Sono questi» fece la contessa Mara. «E con ciò?». 

«Un momento» continuò l'altro. «È lei o non è lei che scrive in questo periodico firmandosi Nirvana?».
«Sono io», disse la contessa con fierezza, «e me ne vanto. Si tratta d’un periodico di larga diffusione, che entra nelle migliori famiglie». 

«Questo non m’interessa» proseguì il visitatore, impassibile. «Mi dica piuttosto: è lei o non è lei la titolare della rubrica “Sono tutta per voi”?». 

«Sissignore» esclamò la contessa. «Sono io e me ne dichiaro fiera e orgogliosa. È una rubrica seguita dal grande pubblico…».
 
«Questo non mi riguarda» interruppe l'altro. 

«Mi lasci dire» gli dié sulla voce la contessa. «È una rubrica seguita dal grande pubblico e nella quale io rispondo ai quesiti che mi vengono rivolti». 

«E dunque?» esclamò il visitatore in tono di trionfo. «Che cosa ho fatto io se non rivolgerle un quesito?». 

La illustre pubblicista lo incenerì con un’occhiata. «Ah, sì», gridò, «le sembrano domande da farsi?».
«Ma…». 

«Il fatto che io risponda non deve autorizzare nessuno a rivolgermi domande sconvenienti, come avete fatto voi…». 

«Ma…». 

«A certe domande non c’è che una risposta da dare: la porta!». 

La illustre collaboratrice del periodico, con gli occhi sfavillanti di contenuto sdegno, indicò l'uscita al visitatore. Ma questi non si mosse. 

«Un momento» disse «un momento. Se lei mi lasciasse parlare, vedrebbe che non ho fatto altro che quanto ella desiderava». 

«Oh, sfacciato!» gridò la contessa, che stava perdendo il lume degli occhi. 

«Quello che anzi lei ha esplicitamente invitato i lettori a fare» aggiunse l'altro con flemma.
Mise sotto gli occhi della dama un numero del periodico, indicando un trafiletto.
«È lei che ha scritto questo?» domandò.
 
«Sono io» disse la signora, sbirciando il giornale. 

«E dunque!» esclamò l'altro con un tono che non ammetteva repliche. «Se so leggere, non ho sbagliato. Legga». 

«Che cosa?». 

«Questo». 

«Ebbene?». 

«Legga quello che lei ha scritto». 

La nobile dama lesse, rilesse, concentrandosi nell’attenzione, per cercar di capire in che consistesse quello che, secondo l'altro, aveva autorizzato la di lui sconveniente domanda. Alla fine si strinse nelle spalle. 

«Io» mormorò «non ci trovo niente che possa giustificare…». 

«Ah, non ci trova niente?» strepitò l'altro. «Non ci trova niente? E allora le leggerò io quello che lei ha scritto. Il suo trafiletto termina con le parole: “Se avete quesiti da porci, rivolgetevi a me che sono qui per soddisfarvi"». 

«Ebbene?» balbettò la contessa. 

«Quesiti da porci!» strepitò il visitatore. 

La contessa impallidì. 

«Ma no!» gemé. «Con la "o” stretta, e non con la “o” larga». 

«Come sarebbe a dire?» fece l'altro. 

«Voce del verbo “porre"» spiegò la scrittrice con un fil di voce. «Se avete dei quesiti da pórci, e non da pòrci». 

E cadde svenuta mentre il visitatore rileggeva la frase incriminata. 

«Che posso sapere», borbottava fra sé, «che posso sapere io, leggendo, se una vocale è stretta o larga? Io credevo con la "o” larga! Ho letto: “una domanda da porci, e ho rivolto una domanda da porco"». La contessa veniva intanto soccorsa dalle colleghe.




Racconto di Achille Campanile (1900-1977)

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