Vegetariani d’autore, meglio dei veri soliti stronzi



La parodia dell’insalata di rinforzo ci salverà

di Ursula Iannone

I vegetariani sono l’insalata di rinforzo, una setta da eliminare, un manipolo di cavolfiori e papacelle che ha in testa un solo pensiero: non mangiare come gli altri. Un po’ sono anche da compatire, questo lo dobbiamo pure dire, mangiano solo verdurine grigliate, lesse e scondite, pasta al sugo e un po’ di mozzarella di bufala quando vogliono fare festa. Poi sono tristi, non cucinano granché, e ti voglio propinare come una squisitezza i finocchi gratinati, o la frittatina al galbanino, se ti va bene, e però è tutto unto e besciamella! Se li inviti a cena, è un vero dramma. Non mangiano niente.

Al Cenone della Vigilia, per esempio, che mangiano?

Il Cenone della Vigilia è una tradizione intoccabile e inattaccabile. Vuoi o non vuoi, il capitone arrostito lo devi mangiare. O almeno “assaggialo, per augurio!”. Il baccalà fritto e all’insalata si deve fare. Di questi tempi, “poco, ma ci deve stare”. E che si fa, lo spaghetto con le vongole non si mangia? Per forza, sennò non è tradizione. Al Cenone della Vigilia, molti commensali siedono allegri e ansiosi per validare l’effetto che fa il sapore della tradizione: e così ricordi, reiterazioni, poesie, frasi fatte, auguri, brindisi, cicli e ricicli. E, ovvio, la foto alla tavola imbandita con candelabri e candele da pubblicare il prima possibile perché si sa, “nuje simm ggent’ che sapimm campà”.

Poi c’è l’amara verità.

I commensali sono moderni, modernissimi, e così la poesia di Natale è un fatto sempre più raro (“la poesia a memoria? Per carità, roba anni ’50, mio figlio ha competenze life long learning, impara solo peer to peer in circle time”, qualunque cosa esso voglia dire, ma non ha importanza); il capitone fa un poco impressione, è un pesce grasso (a Natale, è risaputo, sono tutti a dieta), e a tavola si servono sì e no numero due anguille per 25 persone, che ne assaggiano un pezzetto “sennò mammà si piglia collera ma, detto tra noi, sto capitone non m’è mai piaciuto”, lasciandone tre quarti nel piatto; il baccalà fritto anche no, “il baccalà a Natale non si può sopportare, puzza, almeno cucinatelo su una vellutata di Tomatillo, quel simpatico e sconosciuto ortaggio esotico, che un po’ disgustoso è, ma ne ha parlato Cracco alla televisione, è roba da chef stellato, fai un figurone!”. L’insalata di rinforzo, quella no, “è roba da vegetariani, se la mangino loro che non mangiano niente”; e per finire il cavolfiore, poverino, l’ultima speranza di zia Lucia che ha tenuto il suo acre odore in casa per quasi tre giorni per farlo morbido, ed eccolo… candido e condito con l’aceto buono, che passa di mano in mano e nessuno lo ferma, nessuno lo accoglie nel suo piatto, nessuno lo spezza, nessuno lo tocca, e così finisce il suo glorioso passato di pietanza natalizia. Per dolce, mostaccioli e roccocò, che devono essere un po’ duri sennò non sono quelli buoni, ma “per carità, dopo un bel Cenone, sti biscotti secchi a chi li vuoi dare? Mia cognata ha comprato il panettone Lovely Cake, senza canditi, farcito di crema al mango e lime col liquore al bile del cobra, una specialità!”

Miseramente, il Cenone è diventato questo.

Si riconosca, per favore.

I veri piatti tradizionali hanno smesso di essere tanto attesi. Sì, il pesce pure c’è, ma per ogni portata ogni anno si fa uno strappo alla regola, e perciò una nuova ricetta masterchef scalza di volta in volta l’ex piccolo antipasto, l’ex spaghetto a vongole, l’ex capitone arrostito, l’ex baccalà fritto, l’ex insalata di rinforzo, l’ex cavolfiore, l’ex mostacciolo con l’ex roccocò, e perfino l’ex mandarino che sciacquava la bocca, anche se il nonno preferiva rimanere col sapore dell’ascella di baccalà all’insalata.

Ma guai ad ammetterlo!

E poi ci sono i vegetariani, che per loro ragione etica o salutistica, che non interessa affatto proclamare o diffondere o convincere, ad un certo punto della loro vita hanno scelto di non mangiare mai più carne o pesce. E quindi non partecipano attivamente (leggi “secondo i gusti degli altri”) alla tavola della Vigilia, né a nessuna altra tavola dove ci sia solo carne o pesce. Al massimo, partecipano.

Ma ai vegetariani la parolina di troppo arriva sempre.

I commensali moderni sono disgustati dal capitone, ma è il vegetariano che è diverso, non preferiscono il baccalà, ma è il vegetariano che c’ha la fissa, non sopportano il cotechino con le lenticchie, ma è il vegetariano che ha il problema.

Al commensale moderno è concesso e perdonato tutto.

E’ compreso se il suo palato non predilige un certo sapore, per cui se si va ad una sua cena, si sa a priori che non si troverà quel piatto, e non ci sono mai perché e per come. E’ comunemente accettato. Il vegetariano invece è perennemente un condannato a dovere spiegazioni, giustificazioni, a essere guardato nel piatto, a ricevere sempre le stesse domande con le stesse facce turbate con le stesse conclusioni “ma che ne vuoi fà? Quando hai tolto la carne, che ti mangi? La vita una è”.

Appunto.

Che forse sia più accettabile socialmente dire “non mi piace la carne, preferisco la ricotta”? Probabilmente sì. Questa sarebbe la soluzione definitiva. Anzi, è la soluzione definitiva.

Da ora in poi, si dica allo zio sbigottito, al ristoratore impallidito, all’amico sbalordito, “no, la carne non mi piace”, e si aprirà un mondo di alternative!

Vedrete, sarà tutto più facile!

Esattamente come fanno tutti gli altri quando dicono “il panettone con i canditi mi fa schifo, preferisco il pandoro, o al massimo il panettone con la crema alla nutella” -un vero schifo N.d.R.-. Niente, si apre il pandoro con la nutella, senza troppe storie.

La vita una è. Se ne facciano una ragione gli sbandieratori della fetta arrostita. Finché non troveranno vegetariani che guardano nei loro piatti, che sbuffano quando ordinano il capretto, che triturano le scatole ricordando che è in arrivo la pancia di una mucca in formato tascabile come, all’opposto, gli onnivori incalliti, si plachino.

Keep calm, please, come recita un famoso andante. Nessuno li tocca. Nessuno gli dice niente, mangino quello che vogliono e scartino quello che non vogliono. Il vegetariano, ops, colui a cui non piace né la carne né il pesce, non è contro nessuno, non è una lobby, non pensa che l’insalatina abbia gli occhi, non si affligge e non affligge, vive e lascia vivere. Senza traumi.

Alle varie e noiose osservazioni del tipo “non sarai certo tu a salvare il mondo” .furiaLAB risponde “ovvio, ma di sicuro tu lo stai distruggendo”; “se non mangi la bistecca diventi anemico”, .furiaLAB risponde che quando a un ematologo dichiari che sei vegetariano, lui ti guarda e dice: “e quindi?”; “noi mangiamo tutto, siete voi il problema”, .furiaLAB risponde che, secondo la statistica, nell’arco di un mese la varietà di alimenti mangiati da un vegetariano supera del 35% quelli mangiati da un onnivoro (che solitamente, tra l’altro, mangia pesce solo ai matrimoni); e alla fatidica domanda “ma un piatto senza carne di che sa?” .furiaLAB risponde che quel piatto sa di tutto il resto, cioè di parmigiana di melenzane e di pizza margherita. Punto.

.furiaLAB per il suo cenone di Natale ha optato per un menù senza carne né pesce, e persino senza panettone. Ha scelto, come sempre, di non cercare cibi esotici dai nomi impronunciabili, perché .furiaLAB sceglie gli alimenti di cui si sono cibati intere generazioni campane.

Ha impiegato quasi due giorni di preparazione, perché per le ricette senza carne né pesce si impiega molto più tempo e fantasia di una grigliata di salsicce, di un pesce all’acqua pazza o di un ragù di carne che, con tutto il rispetto (per la nostra mamma napoletana doc soprattutto), cuoce da solo e la riuscita è assicurata. Poi perché .furiaLAB vuole bene ai suoi commensali e perché a noi vegetariani piace mangiare.

E le verdurine lessate e scondite le lasciamo ai contorni degli onnivori.















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